| Title: | Didone Abbandonata | Author: | Pietro Metastasio | Year: | 1757 | Notes: | Darappresentarsi nel Teatro Giustiniani di S. Moise l'autunno dell'anno 1757 | Libretto: | ARGOMENTO
Didone, vedova di Sicheo, dopo esserle stato ucciso il marito da Pigmalione suo fratello re di Tiro, fuggì con immense ricchezze in Africa dove comperato sufficiente terreno edificò Cartagine. Fu ivi richiesta in moglie da molti e particolarmente da Iarba re de'Mori; e sempre ricusò, dicendo voler serbar fede alle ceneri dell'estinto consorte. Intanto Enea troiano, essendo stata distrutta la sua patria da' Greci, mentre andava in Italia, fu portato da una tempesta nelle sponde dell'Africa e ricevuto e ristorato da Didone, la quale ardentemente se n'invaghì. Ma mentre egli compiacendosi dell'affetto della medesima si tratteneva in Cartagine, gli fu dagli dei comandato che abbandonasse quel cielo e che proseguisse il suo cammino verso Italia dove gli promettevano che dovea risorgere una nuova Troia. Egli partì e Didone disperatamente, dopo avere invano tentato di trattenerlo, si uccise. Tutto ciò si ha da Virgilio, il quale con un felice anacronismo unisce il tempo della fondazione di Cartagine agli errori di Enea. Da Ovidio nel terzo libro de' Fasti si raccoglie che Iarba s'impadronisse di Cartagine dopo la morte di Didone e che Anna sorella della medesima, la quale sarà da noi chiamata Selene, fosse occultamente anch'ella invaghita d'Enea. Per comodità della rappresentazione si finge che Iarba, curioso di veder Didone, s'introduca in Cartagine come ambasciadore di sé stesso sotto nome d'Arbace. La scena si finge in Cartagine.
INTERLOCUTORI
DIDONE regina di Cartagine, amante di ENEA IARBA re de'Mori sotto nome d'Arbace SELENE sorella di Didone e amante occulta di Enea ARASPE confidente di Iarba ed amante di Selene OSMIDA confidente di Didone
--------------------------- ATTO PRIMO Scena prima ---------------------------
Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze con trono da un lato. Veduta in prospetto della città di Cartagine che sta in atto edificandosi.
ENEA, SELENE, OSMIDA
ENEA No, principessa, amico, sdegno non è, non è timor che muove le frigie vele e mi trasporta altrove. So che m'ama Didone, purtroppo il so, né di sua fé pavento; l'adoro e mi rammento quanto fece per me. Non sono ingrato; ma ch'io di nuovo esponga all'arbitrio dell'onde i giorni miei mi prescrive il destin, voglion gli dei; e son sì sventurato che sembra colpa mia quella del fato.
SELENE Se cerchi al lungo error riposo e nido, te l'offre in questo lido la germana, il tuo merto e 'l nostro zelo.
ENEA Riposo ancor non mi concede il cielo.
SELENE Perché?
OSMIDA Con qual favella il lor voler ti palesaro i numi?
ENEA Osmida, a questi lumi non porta il sonno mai suo dolce obblio che 'l rigido sembiante del genitor non mi dipinga innante. «Figlio» ei dice e l'ascolto «ingrato figlio, quest'è d'Italia il regno che acquistar ti commise Apollo ed io? L'Asia infelice aspetta che in un altro terreno, opra del tuo valor, Troia rinasca. Tu 'l promettesti. Io nel momento estremo del viver mio la tua promessa intesi allor che ti piegasti a baciar questa destra e mel giurasti. E tu frattanto ingrato alla patria, a te stesso, al genitore qui nell'ozio ti perdi e nell'amore? Sorgi; de'legni tuoi tronca il canape reo, sciogli le sarte ». Mi guarda poi con torvo ciglio e parte.
SELENE Gelo d'orror. (Dal fondo della scena comparisce Didone con seguito)
OSMIDA (Quasi felice io sono. Se parte Enea, manca un rivale al trono).
SELENE Se abbandoni il tuo bene, morrà Didone (e non vivrà Selene).
OSMIDA La regina s'appressa.
ENEA (Che mai dirò?)
SELENE (Non posso scoprire il mio tormento).
ENEA (Difenditi, mio core, ecco il cimento).
--------------------------- ATTO PRIMO Scena seconda ---------------------------
DIDONE con seguito e detti
DIDONE Enea, d'Asia splendore, di Citerea soave cura e mia, vedi come a momenti del tuo soggiorno altera la nascente Cartago alza la fronte. Frutto de'miei sudori son quegli archi, que'templi e quelle mura. Ma de'sudori miei l'ornamento più grande, Enea, tu sei. Tu non mi guardi e taci? In questa guisa con un freddo silenzio Enea m'accoglie? Forse già dal tuo core di me l'immago ha cancellata amore?
ENEA Didone alla mia mente, il giuro a tutti i dei, sempre è presente; né tempo o lontananza potrà sparger d'obblio, questo ancor giuro ai numi, il foco mio.
DIDONE Che proteste! Io non chiedo giuramenti da te; perch'io ti creda, un tuo sguardo mi basta, un tuo sospiro.
OSMIDA (Troppo s'inoltra).
SELENE (Ed io parlar non oso).
ENEA Se brami il tuo riposo, pensa alla tua grandezza, a me più non pensar.
DIDONE Che a te non pensi? Io che per te sol vivo, io che non godo i miei giorni felici, se un momento mi lasci?
ENEA Oh dio, che dici! E qual tempo scegliesti! Ah troppo, troppo generosa tu sei per un ingrato.
DIDONE Ingrato Enea! Perché? Dunque noiosa ti sarà la mia fiamma.
ENEA Anzi giammai con maggior tenerezza io non t'amai. Ma...
DIDONE Che?
ENEA La patria, il cielo...
DIDONE Parla.
ENEA Dovrei... Ma no... L'amore... oh dio, la fé... Ah che parlar non so! (Ad Osmida) Spiegalo tu per me. (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena terza ---------------------------
DIDONE, SELENE e OSMIDA
DIDONE Parte così? Così mi lascia Enea? Che vuol dir quel silenzio? In che son rea?
SELENE Ei pensa abbandonarti. Contrastano quel core, né so chi vincerà, gloria ed amore. DIDONE È gloria abbandonarmi?
OSMIDA (Si deluda). Regina, il cor d'Enea non penetrò Selene. Ei disse, è ver, che 'l suo dover lo sprona a lasciar queste sponde; ma col dover la gelosia nasconde.
DIDONE Come?
OSMIDA Fra pochi istanti dalla reggia de'Mori qui giunger dee l'ambasciadore Arbace.
DIDONE Che perciò?
OSMIDA Le tue nozze chiederà il re superbo e teme Enea che tu ceda alla forza e a lui ti doni. Perciò così partendo fugge il dolor di rimirarti.
DIDONE Intendo. S'inganna Enea; ma piace l'inganno all'alma mia. So che nel nostro core sempre la gelosia figlia è d'amore.
SELENE Anch'io lo so.
DIDONE Ma non lo sai per prova.
OSMIDA (Così contro un rival l'altro mi giova).
DIDONE Vanne, amata germana; dal cor d'Enea sgombra i sospetti e digli che a lui non mi torrà se non la morte.
SELENE (A questo ancor tu mi condanni, o sorte!) Dirò che fida sei, su la mia fé riposa; sarò per te pietosa, (per me crudel sarò). Sapranno i labbri miei scoprirgli il tuo desio. (Ma la mia pena, oh dio, come nasconderò?) (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena quarta ---------------------------
DIDONE e OSMIDA
DIDONE Venga Arbace qual vuole, supplice o minaccioso; ei viene invano; in faccia a lui pria che tramonti il sole, ad Enea mi vedrà porger la mano. Solo quel cor mi piace. Sappialo Iarba.
OSMIDA Ecco s'appressa Arbace.
--------------------------- ATTO PRIMO Scena quinta ---------------------------
IARBA sotto nome d'Arbace ed ARASPE con seguito de' mori. Comparse, che conducono tigri, leoni e portano altri doni per presentare alla regina, e detti
Mentre Didone servita da Osmida va sul trono, fra loro, non intesi dalla medesima, dicono Iarba ed Araspe:
ARASPE Vedi, mio re...
IARBA T'accheta. Fin che dura l'inganno, chiamami Arbace e non pensare al trono; per ora io non son Iarba e re non sono. Didone, il re de'Mori a te de'cenni suoi me suo fedele apportator destina; io te l'offro qual vuoi, tuo sostegno in un punto o tua ruina. Queste, che miri intanto, spoglie, gemme, tesori, uomini e fere, che l'Africa soggetta a lui produce, pegni di sua grandezza in don t'invia. Nel dono impara il donator qual sia.
DIDONE Mentre io n'accetto il dono, larga mercede il tuo signor riceve; ma s'ei non è più saggio, quel ch'ora è don può divenire omaggio. (Come altero è costui!) Siedi e favella.
ARASPE (Qual ti sembra, o signor?)
IARBA (Superba e bella). Ti rammenta, o Didone, qual da Tiro venisti e qual ti trasse disperato consiglio a questo lido. Del tuo germano infido alle barbare voglie, al genio avaro ti fu l'Africa sol schermo e riparo. Fu questo, ove s'innalza la superba Cartago, ampio terreno dono del mio signor e fu...
DIDONE Col dono la vendita confondi...
IARBA Lascia pria ch'io favelli e poi rispondi.
DIDONE (Che ardir!)
OSMIDA (Soffri).
IARBA Cortese Iarba il mio re le nozze tue richiese; tu ricusasti, ei ne soffrì l'oltraggio, perché giurasti allora che al cener di Sicheo fede serbavi. Or sa l'Africa tutta che dall'Asia distrutta Enea qui venne, sa che tu l'accogliesti e sa che l'ami; né soffrirà che venga a contrastar gli amori un avanzo di Troia al re de'Mori.
DIDONE E gli amori e gli sdegni fian del pari infecondi.
IARBA Lascia pria ch'io finisca e poi rispondi. Generoso il mio re, di guerra invece, t'offre pace, se vuoi; e in emenda del fallo brama gli affetti tuoi, chiede il tuo letto, vuol la testa d'Enea.
DIDONE Dicesti?
IARBA Ho detto.
DIDONE Dalla reggia di Tiro io venni a queste arene libertade cercando e non catene. Prezzo de'miei tesori e non già del tuo re Cartago è dono. La mia destra, il mio core quando a Iarba negai, d'esser fida allo sposo allor pensai. Or più quella non son...
IARBA Se non sei quella...
DIDONE Lascia pria ch'io risponda e poi favella. Or più quella non son; variano i saggi a seconda de'casi i lor pensieri. Enea piace al mio cor, giova al mio trono e mio sposo sarà.
IARBA Ma la sua testa...
DIDONE Non è facil trionfo, anzi potrebbe costar molti sudori quest'avanzo di Troia al re de'Mori.
IARBA Se 'l mio signore irriti, verranno a farti guerra quanti Getuli e quanti Numidi e Garamanti Africa serra.
DIDONE Pur che sia meco Enea, non mi confondo; vengano a questi lidi Garamanti, Numidi, Africa e 'l mondo.
IARBA Dunque dirò...
DIDONE Dirai che amoroso nol curo, che nol temo sdegnato.
IARBA Pensa meglio, o Didone.
DIDONE Ho già pensato. (Si levano da sedere) Son regina e sono amante e l'impero io sola voglio del mio soglio e del mio cor. Darmi legge invan pretende chi l'arbitrio a me contende della gloria e dell'amor. (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena sesta ---------------------------
IARBA, OSMIDA ed ARASPE
IARBA Araspe, alla vendetta. (In atto di partire)
ARASPE Mi son scorta i tuoi passi.
OSMIDA Arbace, aspetta.
IARBA (Da me che bramerà?)
OSMIDA Posso a mia voglia libero favellar?
IARBA Parla.
OSMIDA Se vuoi, io m'offro a'sdegni tuoi compagno e guida. Didone in me confida, Enea mi crede amico e pendon l'armi tutte dal cenno mio. Molto potrei a'tuoi disegni agevolar la strada.
IARBA Ma tu chi sei?
OSMIDA Seguace della tiria regina, Osmida io sono. In Cipro ebbi la cuna e 'l mio core è maggior di mia fortuna.
IARBA L'offerta accetto e se fedel sarai, tutto in mercé ciò che domandi avrai.
OSMIDA Sia del tuo re Didone, a me si ceda di Cartago l'impero.
IARBA Io tel prometto.
OSMIDA Ma chi sa se consente il tuo signore alla richiesta audace?
IARBA Promette il re, quando promette Arbace.
OSMIDA Dunque...
IARBA Ogni atto innocente qui sospetto esser può; serba i consigli a più sicuro loco e più nascoso. Fidati. Osmida è re, se Iarba è sposo.
OSMIDA Tu mi scorgi al gran disegno e al tuo sdegno, al tuo desio l'ardir mio ti scorgerà. Così rende il fiumicello, mentre lento il prato ingombra, alimento all'arboscello e per l'ombra umor gli dà. (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena settima ---------------------------
IARBA, ARASPE
IARBA Quant'è stolto, se crede ch'io gli abbia a serbar fede!
ARASPE La promettesti a lui.
IARBA Non merta fé chi non la serba altrui. Ma vanne, amato Araspe, ogn'indugio è tormento al mio furore. Vanne; le mie vendette un tuo colpo assicuri. Enea s'uccida.
ARASPE Vado e sarà fra poco del suo, del mio valore in aperta tenzone arbitro il fato.
IARBA No, t'arresta. Io non voglio che al caso si commetta l'onor tuo, l'odio mio, la mia vendetta. Improvviso l'assali, usa la frode.
ARASPE Da me frode! Signor, suddito io nacqui ma non già traditor. Dimmi ch'io vada nudo in mezzo agl'incendi, incontro all'armi, tutto farò. Tu sei signor della mia vita; in tua difesa non ricuso cimento; ma da me non si chieda un tradimento.
IARBA Sensi d'alma volgare! A me non manca braccio del tuo più fido.
ARASPE E come, o dei, la tua virtude...
IARBA Eh che virtù? Nel mondo o virtù non si trova o è sol virtù quel che diletta e giova. Fra lo splendor del trono belle le colpe sono; perde l'orror l'inganno, tutto si fa virtù. Fuggir con frode il danno può dubitar se lice quell'anima infelice che nacque in servitù. (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena ottava ---------------------------
ARASPE
ARASPE Empio! L'orror che porta il rimorso d'un fallo anche felice, la pace fra'disastri che produce virtù come non senti? O sostegno del mondo, degli uomini ornamento e degli dei, bella virtude, il mio piacer tu sei. Se dalle stelle tu non sei guida fra le procelle dell'onda infida, mai per quest'alma calma non v'è. Tu m'assicuri ne'miei perigli, nelle sventure tu mi consigli; e sol contento sento per te. (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena nona ---------------------------
Cortile.
SELENE, ENEA
ENEA Già tel dissi, Selene; male interpreta Osmida i sensi miei. Ah piacesse agli dei che Dido fosse infida e ch'io potessi figurarmela infida un sol momento! Ma saper che m'adora e doverla lasciar, questo è il tormento.
SELENE Sia qual vuoi la cagione che ti sforza a partir, per pochi istanti t'arresta almeno e di Nettuno al tempio vanne. La mia germana vuol colà favellarti.
ENEA Sarà pena l'indugio.
SELENE Odila e parti.
ENEA Ed a colei che adoro darò l'ultimo addio?
SELENE (Taccio e non moro!)
ENEA Piange Selene!
SELENE E come quando parli così non vuoi ch'io pianga?
ENEA Lascia di sospirar. Sola Didone ha ragion di lagnarsi al partir mio.
SELENE Abbiam l'istesso cor Didone ed io.
ENEA Tanto per lei t'affliggi?
SELENE Ella in me così vive, io così vivo in lei che tutti i mali suoi son mali miei.
ENEA Generosa Selene, i tuoi sospiri tanta pietà mi fanno che scordo quasi il mio nel vostro affanno.
SELENE Se mi vedessi il core, forse la tua pietà saria maggiore.
--------------------------- ATTO PRIMO Scena decima ---------------------------
IARBA, ARASPE e detti
IARBA Tutta ho scorsa la reggia, cercando Enea, né ancor m'incontro in lui.
ARASPE Forse quindi partì.
IARBA Fosse costui! (Vedendo Enea) Africano alle vesti ei non mi sembra. Stranier, dimmi, chi sei? (Ad Enea)
ARASPE Quanto piace quel volto agli occhi miei! (Vedendo Selene)
ENEA Troppo bella Selene... (Guarda Iarba e non risponde)
IARBA Olà, non odi? (Ad Enea)
ENEA Troppo ad altri pietosa... (Come sopra)
SELENE Che superbo parlar! (Guardando Iarba)
ARASPE (Quanto è vezzosa!)
IARBA O palesa il tuo nome o ch'io... (Ad Enea)
ENEA Qual dritto hai tu di domandarne? A te che giova?
IARBA Ragione è il piacer mio.
ENEA Fra noi non s'usa di rispondere a'stolti. (Vuol partire)
IARBA Ah questo acciaro... (Vuol por mano alla spada e Selene lo ferma)
SELENE Sugli occhi di Selene, nella reggia di Dido un tanto ardire? (A Iarba)
IARBA Di Iarba al messaggiero sì poco di rispetto?
SELENE Il folle orgoglio la reina saprà.
IARBA Sappialo. Intanto mi vegga ad onta sua troncar quel capo e a quel d'Enea congiunto dell'offeso mio re portarlo a'piedi.
ENEA Difficile sarà più che non credi.
IARBA Tu potrai contrastarlo? O quell'Enea che per glorie racconta tante perdite sue?
ENEA Cedono assai in confronto di glorie alle perdite sue le tue vittorie.
IARBA Ma tu chi sei che tanto meco per lui contrasti?
ENEA Son un che non ti teme; e ciò ti basti. Quando saprai chi sono, sì fiero non sarai né parlerai così. Brama lasciar le sponde quel passeggiero ardente; fra l'onde poi si pente, se ad onta del nocchiero dal lido si partì. (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena undicesima ---------------------------
SELENE, IARBA ed ARASPE
IARBA Non partirò, se pria...
SELENE Da lui che brami? (Lo ferma)
IARBA Il suo nome.
SELENE Il suo nome senza tanto furor da me saprai.
IARBA A questa legge io resto.
SELENE Quell'Enea che tu cerchi appunto è questo.
IARBA Ah m'involasti un colpo che al mio braccio offeriva il ciel cortese.
SELENE Ma perché tanto sdegno? In che t'offese?
IARBA Gli affetti di Didone al mio signor contende. T'è noto e mi domandi in che m'offende?
SELENE Arbace, a quel ch'io veggio, nella scuola d'amor sei rozzo ancora. Un cor che s'innamora non sceglie a suo piacer l'oggetto amato; onde nessuno offende, quando in amor contende o allor che niega corrispondenza altrui. Non è bellezza, non è senno o valore che in noi risveglia amore; anzi talora il men vago, il più stolto è che s'adora. Bella ciascuno poi finge al pensiero la fiamma sua; ma poche volte è vero. Ogni amator suppone che della sua ferita sia la beltà cagione; ma la beltà non è. È un bel desio che nasce allor che men s'aspetta; si sente che diletta ma non si sa perché. (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena dodicesima ---------------------------
IARBA, ARASPE, poi OSMIDA
IARBA Non è più tempo, Araspe, di celarmi così. Troppa finora sofferenza mi costa.
ARASPE E che farai?
IARBA I miei guerrier, che nella selva ascosi quindi non lungi al mio venir lasciai, chiamerò nella reggia; distruggerò Cartago e l'empio core all'indegno rival trarrò...
OSMIDA Signore, già di Nettuno al tempio la reina s'invia. Sugli occhi tuoi al superbo troiano, se tardi a riparar, porge la mano.
IARBA Tanto ardir?
OSMIDA Non è tempo d'inutili querele.
IARBA E qual consiglio?
OSMIDA Il più pronto è il migliore. Io ti precedo; ardisci. Ad ogni impresa io sarò tuo sostegno e tua difesa. (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena tredicesima ---------------------------
IARBA ed ARASPE
ARASPE Dove corri, o signore?
IARBA Il rivale a svenar.
ARASPE Come lo speri? Ancora i tuoi guerrieri il tuo voler non sanno.
IARBA Dove forza non val, giunga l'inganno.
ARASPE E vuoi la tua vendetta con la taccia comprar di traditore?
IARBA Araspe il mio favore troppo ardito ti fe'; più franco all'opre e men pronto a'consigli io ti vorrei. Chi son io ti rammenta e chi tu sei. Son quel fiume che gonfio d'umori, quando il gelo si scioglie in torrenti, selve, armenti, capanne e pastori porta seco e ritegno non ha. Se si vede fra gli argini stretto, sdegna il letto, confonde le sponde e superbo fremendo sen va. (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena quattordicesima ---------------------------
ARASPE solo
ARASPE Lo so, quel cor feroce stragi minaccia alla mia fede ancora. Ma si serva al dovere e poi si mora. Infelice e sventurato potrà farmi ingiusto fato; ma infedele io non sarò. La mia fede e l'onor mio pur fra l'onde dell'obblio agli Elisi io porterò. (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena quindicesima ---------------------------
Tempio di Nettuno con simulacro del medesimo.
ENEA, OSMIDA
OSMIDA Come? Da'labbri tuoi Dido saprà che abbandonar la vuoi? Ah taci per pietà e risparmia al suo cor questo tormento.
ENEA Il dirlo è crudeltà ma sarebbe il tacerlo un tradimento.
OSMIDA Benché costante, spero che al pianto suo tu cangerai pensiero.
ENEA Può togliermi di vita ma non può il mio dolore far ch'io manchi alla patria e al genitore.
OSMIDA Oh generosi detti! Vincere i propri affetti avanza ogni altra gloria.
ENEA Quanto costa però questa vittoria!
--------------------------- ATTO PRIMO Scena sedicesima ---------------------------
IARBA, ARASPE e detti
IARBA Ecco il rival; né seco è alcun de'suoi seguaci.
ARASPE Ah pensa che tu sei...
IARBA Sieguimi e taci. Così gli oltraggi miei... (In atto di ferire Enea, Araspe lo trattiene; gli cade il pugnale e Araspe lo raccoglie)
ARASPE Fermati.
IARBA Indegno, al nemico in aiuto?
ENEA Che tenti, anima rea? (Ad Araspe, in mano di cui voltandosi vede il pugnale)
OSMIDA (Tutto è perduto).
--------------------------- ATTO PRIMO Scena diciasettesima ---------------------------
DIDONE con guardie e detti
OSMIDA Siam traditi, o regina. Se più tarda d'Arbace era l'aita, il valoroso Enea sotto colpo inumano oggi cadea.
DIDONE Il traditor qual è, dove dimora?
OSMIDA Miralo, nella destra ha il ferro ancora. (Accenna Araspe)
DIDONE Chi ti destò nel seno (Ad Araspe) sì barbaro desio?
ARASPE Del mio signor la gloria e 'l dover mio.
OSMIDA Come? L'istesso Arbace disapprova...
ARASPE Lo so ch'ei mi condanna, il suo sdegno pavento; ma il mio non fu delitto e non mi pento.
DIDONE E nemmeno hai rossore del sacrilego eccesso?
ARASPE Tornerei mille volte a far l'istesso.
DIDONE Ti preverrò. Ministri, custodite costui. (Parte Araspe con guardie)
ENEA Generoso nemico, in te tanta virtude io non credea. (A Iarba) Lascia che a questo sen...
IARBA Scostati, Enea. Sappi che 'l viver tuo d'Araspe è dono, che il tuo sangue vogl'io, che Iarba io sono.
DIDONE Tu Iarba?
ENEA Il re de'Mori?
DIDONE Un re sensi sì rei non chiude in seno; un mentitor tu sei. Si disarmi.
IARBA Nessuno (Snuda la spada) avvicinarsi ardisca o ch'io lo sveno.
OSMIDA (Cedi per poco almeno, finch'io genti raccolga; a me ti fida). (A Iarba)
IARBA E così vil sarò?
ENEA Fermate, amici. A me tocca punirlo.
DIDONE Il tuo valore serba ad uopo miglior. Che più s'aspetta? O si renda o svenato al piè mi cada.
OSMIDA (Serbati alla vendetta). (Al medesimo)
IARBA Ecco la spada. Tu mi disarmi il fianco, (A Didone) tu mi vorresti oppresso. (Ad Enea) Ma sono ancor l'istesso, ma non son vinto ancor. Soffro per or lo scorno; ma forse questo è il giorno che domerò quell'alma, (A Didone) che punirò quel cor. (Ad Enea)
DIDONE Frenar l'alma orgogliosa tua cura sia.
OSMIDA Su la mia fé riposa. (Parte con guardie)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena diciottesima ---------------------------
DIDONE, ENEA
DIDONE Enea, salvo già sei dalla crudel ferita. Per me serban gli dei sì bella vita.
ENEA Oh dio, regina!
DIDONE Ancora forse della mia fede incerto stai?
ENEA No; più funeste assai son le sventure mie. Vuole il destino...
DIDONE Chiari i tuoi sensi esponi.
ENEA Vuol (mi sento morir) ch'io t'abbandoni.
DIDONE M'abbandoni! Perché?
ENEA Di Giove il cenno, l'ombra del genitor, la patria, il cielo, la promessa, il dover, l'onor, la fama alle sponde d'Italia oggi mi chiama. La mia lunga dimora purtroppo degli dei mosse lo sdegno.
DIDONE E così fino ad ora, perfido, mi celasti il tuo disegno?
ENEA Fu pietà.
DIDONE Che pietà? Mendace il labbro fedeltà mi giurava e intanto il cor pensava come lunge da me volgere il piede. A chi, misera me, darò più fede? Vil rifiuto dell'onde, io l'accolgo sul lido, io lo ristoro dalle ingiurie del mar, le navi e l'armi già disperse io gli rendo e gli do loco nel mio cor, nel mio regno; e questo è poco. Di cento re per lui ricusando gli amori, i sdegni irrito. Ecco poi la mercede. A chi, misera me, darò più fede?
ENEA Finch'io viva, o Didone, dolce memoria al mio pensier sarai. Né partirei giammai, se per voler de'numi io non dovessi consacrare il mio affanno all'impero latino.
DIDONE Veramente non hanno altra cura gli dei che 'l tuo destino.
ENEA Io resterò, se vuoi che si renda spergiuro un infelice.
DIDONE No; sarei debitrice dell'impero del mondo a'figli tuoi. Va'pur, siegui il tuo fato, cerca d'Italia il regno, all'onde, ai venti confida pur la speme tua; ma senti. Farà quell'onde istesse delle vendette mie ministre il cielo; e tardi allor pentito d'aver creduto all'elemento insano, richiamerai la tua Didone invano.
ENEA Se mi vedessi il core... DIDONE Lasciami, traditore.
ENEA Almen dal labbro mio col volto meno irato prendi l'ultimo addio.
DIDONE Lasciami, ingrato.
ENEA E pure a tanto sdegno non hai ragion di condannarmi.
DIDONE Indegno! Non ha ragione, ingrato, un core abbandonato da chi giurogli fé? Anime innamorate, se lo provaste mai, ditelo voi per me! Perfido, tu lo sai se in premio un tradimento io meritai da te. E qual sarà tormento, anime innamorate, se questo mio non è? (Parte)
--------------------------- ATTO PRIMO Scena diciannovesima ---------------------------
ENEA solo
ENEA E soffrirò che sia sì barbara mercede premio della tua fede, anima mia? Tanto amor, tanti doni... Ah pria ch'io t'abbandoni, pera l'Italia, il mondo; resti in obblio profondo la mia fama sepolta; vada in cenere Troia un'altra volta. Ah che dissi! Alle mie amorose follie, gran genitor, perdona, io n'ho rossore. Non fu Enea che parlò; lo disse amore. Si parta. E l'empio moro stringerà il mio tesoro? No... Ma sarà frattanto al proprio genitor spergiuro il figlio? Padre, amor, gelosia, numi, consiglio. Se resto sul lido, se sciolgo le vele, infido, crudele mi sento chiamar. E intanto confuso nel dubbio funesto, non parto, non resto; ma provo il martire ch'avrei nel partire, ch'avrei nel restar.
--------------------------- ATTO SECONDO Scena prima ---------------------------
Appartamenti reali con tavolino.
IARBA ed OSMIDA
OSMIDA Signore, ove ten vai? Nelle mie stanze ascoso per tuo, per mio riposo io ti lasciai.
IARBA Ma sino al tuo ritorno tollerar quel soggiorno io non potei.
OSMIDA In periglio tu sei, che se Didone libero errar ti vede temerà di mia fede.
IARBA A tal oggetto disarmato io men vo, finché non giunga l'amico stuol che a vendicarmi affretto.
OSMIDA Va'pur ma ti rammenta ch'io sol per tua cagione...
IARBA Fosti infido a Didone.
OSMIDA E che tu per mercede...
IARBA So qual premio si debba alla tua fede.
OSMIDA Pensa che 'l trono aspetto, che n'ho tua fede in pegno, e che donando un regno ti fai soggetto un re, un re che tuo seguace ti sarà fido in pace; e se guerrier lo vuoi, contro i nemici tuoi combatterà per te. (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena seconda ---------------------------
IARBA e poi ARASPE
IARBA Giovino i tradimenti, poi si punisca il traditore. Indegno, (Vedendo Araspe) t'offerisci al mio sdegno e non paventi? Temerario, per te non cadde Enea dal ferro mio trafitto.
ARASPE Ma delitto non è.
IARBA Non è delitto! Di tante offese ormai vendicato m'avria quella ferita.
ARASPE La tua gloria salvai nella sua vita.
IARBA Ti punirò.
ARASPE La pena, benché innocente, io soffrirò con pace, che sempre è reo chi al suo signor dispiace.
IARBA (Hanno un'ignota forza i detti di costui che m'incatena e parmi ch'io non sappia sdegnarmi in faccia a lui). Odi, giacché al tuo re qual ossequio tu debba ancor non sai, innanzi a me non favellar giammai.
ARASPE Ubbidirò.
--------------------------- ATTO SECONDO Scena terza ---------------------------
SELENE e detti
SELENE Chi sciolse, barbaro, i lacci tuoi? Tu non rispondi? Dell'offesa reina il giusto impero qual folle ardire a disprezzar t'ha mosso? Parla, Araspe, per lui.
ARASPE Parlar non posso.
SELENE Parlar non puoi! (Pavento di nuovo tradimento). E qual arcano si nasconde a Selene? Perché taci così? (Ad Araspe)
ARASPE Tacer conviene.
IARBA Senti. Voglio appagarti. Vado apprendendo l'arti (A Selene) che deve posseder chi s'innamora; nella scuola d'amor son rozzo ancora.
SELENE L'arte di farsi amare come apprender mai può chi serba in seno sì arroganti costumi e sì scortesi?
IARBA Solo a farmi temer sinora appresi.
SELENE E né pur questo sai; quell'empio core odio mi desta in seno e non paura.
IARBA La debolezza tua ti fa sicura. Leon, ch'errando vada per la natia contrada, se un agnellin rimira, non si commove all'ira nel generoso cor. Ma se venir si vede orrida tigre in faccia, l'assale e la minaccia, perché sol quella crede degna del suo furor. (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena quarta ---------------------------
SELENE ed ARASPE
SELENE Chi fu che all'inumano disciolse le catene?
ARASPE A me, bella Selene, il chiedi invano. Io prigioniero e reo, libero ed innocente in un momento sciolto mi vedo e sento fra i lacci il mio signore; il passo muovo a suo pro nella reggia e vel ritrovo.
SELENE Ah contro Enea v'è qualche frode ordita. Difendi la sua vita.
ARASPE È mio nemico. Pur se brami che Araspe dall'insidie il difenda, tel prometto; sin qui l'onor mio nol contrasta ma ti basti così.
SELENE Così mi basta. (In atto di partire)
ARASPE Ah non toglier sì tosto il piacer di mirarti agli occhi miei.
SELENE Perché?
ARASPE Tacer dovrei ch'io sono amante; ma reo del mio delitto è il tuo sembiante.
SELENE Araspe, il tuo valore, il volto tuo, la tua virtù mi piace; ma già pena il mio cor per altra face.
ARASPE Quanto son sventurato!
SELENE È più Selene. Se t'accende il mio volto, narri almen le tue pene ed io le ascolto; io l'incendio nascoso tacer non posso e palesar non oso.
ARASPE Soffri almen la mia fede.
SELENE Sì, ma da me non aspettar mercede. Se può la tua virtù amarmi a questa legge, io tel concedo; ma non chieder di più.
ARASPE Di più non chiedo.
SELENE Ardi per me fedele, serba nel cor lo strale; ma non mi dir crudele, se non avrai mercé. Hanno sventura uguale la tua, la mia costanza. Per te non v'è speranza, non v'è pietà per me. (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena quinta ---------------------------
ARASPE solo
ARASPE Tu dici ch'io non speri; ma nol dici abbastanza. L'ultima che si perde è la speranza. L'augelletto in lacci stretto perché mai cantar s'ascolta? Perché spera un'altra volta di tornare in libertà. Nel conflitto sanguinoso quel guerrier perché non geme? Perché gode con la speme quel riposo che non ha. (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena sesta ---------------------------
DIDONE con foglio, OSMIDA e poi SELENE
DIDONE Già so che si nasconde de'Mori il re sotto il mentito Arbace. Ma sia qual più gli piace, egli m'offese; e senz'altra dimora o suddito o sovrano io vo'che mora.
OSMIDA Sempre in me de'tuoi cenni il più fedele esecutor vedrai.
DIDONE Premio avrà la tua fede.
OSMIDA E qual premio, o regina? Adopro invano per te fede e valore; occupa solo Enea tutto il tuo core.
DIDONE Taci; non rammentar quel nome odiato. È un perfido, è un ingrato, è un'alma senza legge e senza fede. Contro me stessa ho sdegno, perché finor l'amai.
OSMIDA Se lo torni a mirar, ti placherai.
DIDONE Ritornarlo a mirar! Per finch'io viva, mai più non mi vedrà quell'alma rea.
SELENE Teco vorrebbe Enea parlar, se gliel concedi.
DIDONE Enea! Dov'è?
SELENE Qui presso che sospira il piacer di rimirarti. (Parte Selene)
DIDONE Temerario! Che venga. Osmida, parti.
OSMIDA Io non tel dissi? Enea tutta del cor la libertà t'invola.
DIDONE Non tormentarmi più, lasciami sola. (Parte Osmida)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena settima ---------------------------
DIDONE ed ENEA
DIDONE Come! Ancor non partisti? Adorna ancora questi barbari lidi il grande Enea? E pure io mi credea che già varcato il mar, d'Italia in seno in trionfo traessi popoli debellati e regi oppressi.
ENEA Quest'amara favella mal conviene al tuo cor, bella regina. Del tuo, dell'onor mio sollecito ne vengo. Io so che vuoi del moro il fiero orgoglio con la morte punire.
DIDONE E questo è il foglio.
ENEA La gloria non consente ch'io vendichi in tal guisa i torti miei. Se per me lo condanni...
DIDONE Condannarlo per te! Troppo t'inganni. Passò quel tempo, Enea, che Dido a te pensò. Spenta è la face, è sciolta la catena; e del tuo nome or mi rammento appena.
ENEA Sappi che 'l re de'Mori è l'orator fallace.
DIDONE Io non so qual ei sia, lo credo Arbace.
ENEA Oh dio! Con la sua morte tutta contra di te l'Africa irriti.
DIDONE Consigli or non desio; tu provvedi al tuo regno, io penso al mio. Senza di te finor leggi dettai, sorger senza di te Cartago io vidi. Felice me, se mai tu non giungevi, ingrato, a questi lidi!
ENEA Se sprezzi il tuo periglio, donalo a me; grazia per lui ti chieggio.
DIDONE Sì, veramente io deggio il mio regno e me stessa al tuo gran merto. A sì fedele amante, ad eroe sì pietoso, a'giusti prieghi di tanto intercessor nulla si nieghi. Inumano, tiranno, è forse questo l'ultimo dì che rimirar mi dei. Vieni sugli occhi miei, sol d'Arbace mi parli e me non curi. T'avessi pur veduto d'una lagrima sola umido il ciglio. Uno sguardo, un sospiro, un segno di pietade in te non trovo. E poi grazie mi chiedi? Per tanti oltraggi ho da premiarti ancora? Perché tu lo vuoi salvo, io vo'che mora. (Sottoscrive il foglio)
ENEA Idol mio, che pur sei ad onta del destin l'idolo mio, che posso dir? Che giova rinnovar co'sospiri il tuo dolore? Ah se per me nel core qualche tenero affetto avesti mai, placa il tuo sdegno e rasserena i rai. Quell'Enea tel domanda che tuo cor, che tuo bene un dì chiamasti, quel che finora amasti più della vita tua, più del tuo soglio, quello...
DIDONE Basta, vincesti, eccoti il foglio. Vedi quanto t'adoro ancora ingrato. Con un tuo sguardo solo mi togli ogni difesa e mi disarmi. Ed hai cor di tradirmi? E puoi lasciarmi? Ah non lasciarmi, no, bell'idol mio. Di chi mi fiderò, se tu m'inganni? Di vita mancherei nel dirti addio, che viver non potrei fra tanti affanni. (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena ottava ---------------------------
ENEA e poi IARBA
ENEA Io sento vacillar la mia costanza a tanto amore appresso e mentre salvo altrui perdo me stesso.
IARBA Che fa l'invitto Enea? Gli veggo ancora del passato timore i segni in volto.
ENEA Iarba da'lacci è sciolto! Chi ti diè libertà?
IARBA Permette Osmida che per entro la reggia io mi raggiri; ma vuol ch'io vada errando per sicurezza tua senza il mio brando.
ENEA Così tradisce Osmida il comando real?
IARBA Dimmi, che temi? Ch'io m'involi al castigo o a queste mura? Troppo vi resterò per tua sventura.
ENEA La tua sorte presente è degna di pietà, non di timore.
IARBA Risparmia al tuo gran core questa inutil pietà. So che a mio danno della reina irriti i sdegni insani. Solo in tal guisa sanno gli oltraggi vendicar gli eroi troiani.
ENEA Leggi. La regal donna in questo foglio la tua morte segnò di propria mano. S'Enea fosse africano, Iarba estinto saria. Guarda ed impara, barbaro discortese, come vendica Enea le proprie offese. (Lacera il foglio) Vedi nel mio perdono, perfido traditor, quel generoso cor che tu non hai. Vedilo e dimmi poi se gli africani eroi tanta virtù nel seno ebbero mai. (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena nona ---------------------------
IARBA solo
IARBA Così strane venture io non intendo; pietà nel mio nemico, infedeltà nel mio seguace io trovo. Ah forse a danno mio l'uno e l'altro congiura. Ma di lor non ho cura. Pietà finga il rivale, sia l'amico fallace, non sarà di timor Iarba capace. Fosca nube il sol ricopra o si scopra il ciel sereno, non si cangia il cor nel seno, non si turba il mio pensier. Le vicende della sorte imparai con alma forte dalle fasce a non temer. (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena decima ---------------------------
Atrio.
ENEA, poi ARASPE
ENEA Fral dovere e l'affetto ancor dubbioso in seno ondeggia il core. Purtroppo il mio valore all'impero servì d'un bel sembiante. Ah una volta l'eroe vinca l'amante.
ARASPE Di te finora in traccia scorsi la reggia.
ENEA Amico, vieni fra queste braccia.
ARASPE Allontanati, Enea, son tuo nemico. Snuda, snuda quel ferro; (Snuda la spada) guerra con te, non amicizia io voglio.
ENEA Tu di Iarba all'orgoglio prima m'involi e poi guerra mi chiedi ed amistà non vuoi?
ARASPE T'inganni; allor difesi la gloria del mio re, non la tua vita. Con più nobil ferita rendergli a me s'aspetta quella, che tolsi a lui, giusta vendetta.
ENEA Enea stringer l'acciaro contro il suo difensore!
ARASPE Olà, che tardi?
ENEA La mia vita è tuo dono, prendila pur, se vuoi; contento io sono. Ma ch'io debba a tuo danno armar la mano, generoso guerrier, lo speri invano.
ARASPE Se non impugni il brando, a ragion ti dirò codardo e vile.
ENEA Questa ad un cor virile vergognosa minaccia Enea non soffre. Ecco per soddisfarti io snudo il ferro. Ma prima i sensi miei odan gli uomini tutti e tutti i dei. Io son d'Araspe amico, io debbo la mia vita al suo valore. Ad onta del mio core discendo al gran cimento, di codardia tacciato, e per non esser vil, mi rendo ingrato. (Cominciano a battersi)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena undicesima ---------------------------
SELENE e detti
SELENE Tanto ardir nella reggia? Olà, fermate. Così mi serbi fé? Così difendi, Araspe traditor, d'Enea la vita?
ENEA No, principessa, Araspe non ha di tradimenti il cor capace.
SELENE Chi di Iarba è seguace esser fido non può.
ARASPE Bella Selene, poi tu sola avanzarti a tacciarmi così.
SELENE T'accheta e parti.
ARASPE Tacerò, se tu lo brami; ma fai torto alla mia fede, se mi chiami traditor. Porterò lontano il piede; ma placati i sdegni tuoi, so che poi n'avrai rossor. (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena dodicesima ---------------------------
SELENE ed ENEA
ENEA Allor che Araspe a provocar mi venne, del suo signor sostenne le ragioni con me. La sua virtude se condannar pretendi, troppo quel core ingiustamente offendi.
SELENE Ah generoso Enea, non fidarti così; d'Osmida ancora all'amistà tu credi e pur t'inganna.
ENEA Lo so; ma come Osmida non serba Araspe in seno anima infida.
SELENE Sia qual ei vuole Araspe, or non è tempo di favellar di lui; brama Didone teco parlar.
ENEA Poc'anzi dal suo real soggiorno io trassi il piede. Se di nuovo mi chiede ch'io resti in quest'arena, invan s'accrescerà la nostra pena.
SELENE Come fra tanti affanni, cor mio, chi t'ama abbandonar potrai?
ENEA Selene, a me cor mio!
SELENE È Didone che parla e non son io.
ENEA Se per la tua germana così pietosa sei, non curar più di me, ritorna a lei. Dille che si consoli, che ceda al fato e rassereni il ciglio.
SELENE Ah no, cangia, ben mio, cangia consiglio.
ENEA Tu mi chiami tuo bene!
SELENE È Didone che parla e non Selene. Se non l'ascolti almeno, tu sei troppo inumano.
ENEA L'ascolterò ma l'ascoltarla è vano. Non cede all'austro irato né teme allor che freme il turbine sdegnato quel monte che sublime le cime innalza al ciel. Costante, ad ogni oltraggio sempre la fronte avvezza, disprezza il caldo raggio, non cura il freddo gel. (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena tredicesima ---------------------------
SELENE sola
SELENE Chi udì, chi vide mai del mio più strano amor, sorte più ria? Taccio la fiamma mia e vicina al mio bene so scoprirgli le altrui, non le mie pene. Veggio la sponda, sospiro il lido e pur dall'onda fuggir non so. Se il mio dolore scoprir diffido, pietoso amore, che mai farò? (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena quattordicesima ---------------------------
Gabinetto con sedie.
DIDONE e poi ENEA
DIDONE Incerta del mio fato io più viver non voglio; è tempo omai che per l'ultima volta Enea si tenti. Se dirgli i miei tormenti, se la pietà non giova, faccia la gelosia l'ultima prova.
ENEA Ad ascoltar di nuovo i rimproveri tuoi vengo, o regina. So che vuoi dirmi ingrato, perfido, mancator, spergiuro, indegno. Chiamami come vuoi, sfoga il tuo sdegno.
DIDONE No, sdegnata io non sono. Infido, ingrato, perfido, mancator più non ti chiamo; rammentarti non bramo i nostri ardori; da te chiedo consigli e non amori. Siedi. (Siedono)
ENEA (Che mai dirà?)
DIDONE Già vedi, Enea, che fra'nemici è il mio nascente impero. Sprezzai finora, è vero, le minacce e 'l furor ma Iarba offeso, quando priva sarò del tuo sostegno, mi torrà per vendetta e vita e regno. In così dubbia sorte ogni rimedio è vano. Deggio incontrar la morte o al superbo african porger la mano. L'un e l'altro mi spiace e son confusa. Alfin femmina e sola, lungi dal patrio ciel, perdo il coraggio e non è meraviglia s'io risolver non so. Tu mi consiglia.
ENEA Dunque fuor della morte o il funesto imeneo, trovar non si potria scampo migliore?
DIDONE V'era purtroppo.
ENEA E quale?
DIDONE Se non sdegnava Enea d'esser mio sposo, l'Africa avrei veduta dall'arabico seno al mar d'Atlante in Cartago adorar la sua regnante. E di Troia e di Tiro rinnovar si potea... Ma che ragiono? L'impossibil mi fingo e folle io sono. Dimmi, che far degg'io? Con alma forte, come vuoi, sceglierò Iarba o la morte.
ENEA Iarba o la morte! E consigliarti io deggio? Colei che tanto adoro all'odiato rival vedere in braccio? Colei...
DIDONE Se tanta pena trovi nelle mie nozze, io le ricuso. Ma per tormi agl'insulti necessario è il morir. Stringi quel brando, svena la tua fedele; è pietà con Didone esser crudele.
ENEA Ch'io ti sveni? Ah più tosto cada sopra di me del ciel lo sdegno. Prima scemin gli dei, per accrescer tuoi giorni, i giorni miei.
DIDONE Dunque a Iarba mi dono. Olà. (Esce un paggio)
ENEA Deh ferma. Troppo, oh dio, per mia pena sollecita tu sei!
DIDONE Dunque mi svena.
ENEA No, si ceda al destino; a Iarba stendi la tua destra real; di pace priva resti l'alma d'Enea, purché tu viva.
DIDONE Giacché d'altri mi brami, appagarti saprò. Iarba si chiami. (Parte un paggio e un altro porta da sedere per Iarba) Vedi quanto son io ubbidiente a te.
ENEA Regina, addio. (Si levano da sedere)
DIDONE Dove, dove? T'arresta. Del felice imeneo ti voglio spettatore. (Resister non potrà).
ENEA (Costanza, o core).
--------------------------- ATTO SECONDO Scena quindicesima ---------------------------
IARBA e detti
IARBA Didone, a che mi chiedi? Sei folle se mi credi dall'ira tua, da tue minacce oppresso. Non si cangia il mio cor, sempre è l'istesso.
ENEA (Che arroganza!)
DIDONE Deh placa il tuo sdegno, o signor. Tu col tacermi il tuo grado e 'l tuo nome a gran rischio esponesti il tuo decoro ed io... Ma qui t'assidi e con placido volto ascolta i sensi miei.
IARBA Parla, t'ascolto. (Siedono Iarba e Didone)
ENEA Permettimi che ormai... (In atto di partire)
DIDONE Fermati e siedi; (Ad Enea) troppo lunghe non fian le tue dimore. (Resister non potrà).
ENEA (Costanza, o core). (Siede)
IARBA Eh vada. Allor che teco Iarba soggiorna, ha da partir costui.
ENEA (Ed io lo soffro!)
DIDONE In lui invece d'un rival trovi un amico. Ei sempre a tuo favore meco parlò; per suo consiglio io t'amo. Se credi menzognero il labbro mio, dillo tu stesso. (Ad Enea)
ENEA È vero.
IARBA Dunque nel re de'Mori altro merto non v'è che un suo consiglio?
DIDONE No, Iarba; in te mi piace quel regio ardir che ti conosco in volto. Amo quel cor sì forte, sprezzator de'perigli e della morte. E se il ciel mi destina tua compagna e tua sposa...
ENEA Addio, regina. (S'alza) Basta che fin ad ora t'abbia ubbidito Enea.
DIDONE Non basta ancora. Siedi per un momento. (Comincia a vacillar). (Enea torna a sedere)
ENEA (Questo è tormento!)
IARBA Troppo tardi, o Didone, conosci il tuo dover. Ma pure io voglio donar gli oltraggi miei tutti alla tua beltà.
ENEA (Che pena, o dei!)
IARBA In pegno di tua fede dammi dunque la destra.
DIDONE Io son contenta. A più gradito laccio amor pietoso stringer non mi potea.
ENEA Più soffrir non si può. (Si leva agitato)
DIDONE Qual ira, Enea? ENEA E che vuoi? Non ti basta quanto finor soffrì la mia costanza?
DIDONE Eh taci.
ENEA Che tacer? Tacqui abbastanza. Vuoi darti al mio rivale, brami che tel consigli, tutto faccio per te. Che più vorresti? Ch'io ti vedessi ancor fra le sue braccia? Dimmi che mi vuoi morto e non ch'io taccia.
DIDONE Odi; a torto ti sdegni. (S'alza) Sai che per ubbidirti...
ENEA Intendo, intendo, io sono il traditor, son io l'ingrato; tu sei quella fedele che per me perderebbe e vita e soglio; ma tanta fedeltà veder non voglio. (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena sedicesima ---------------------------
DIDONE e IARBA
DIDONE Senti.
IARBA Lascia che parta. (S'alza)
DIDONE I sdegni suoi a me giova placar.
IARBA Di che paventi? Dammi la destra e mia di vendicarti poi la cura sia.
DIDONE D'imenei non è tempo.
IARBA Perché?
DIDONE Più non cercar. IARBA Saperlo io bramo.
DIDONE Già che vuoi, tel dirò; perché non t'amo, perché mai non piacesti agli occhi miei, perché odioso mi sei, perché mi piace più che Iarba fedele Enea fallace.
IARBA Dunque, perfida, io sono un oggetto di riso agli occhi tuoi? Ma sai chi Iarba sia? Sai con chi ti cimenti?
DIDONE So che un barbaro sei né mi spaventi.
IARBA Chiamami pur così. Forse pentita un dì pietà mi chiederai ma non l'avrai da me. Quel barbaro che sprezzi non placheranno i vezzi; né soffrirà l'inganno quel barbaro da te. (Parte)
--------------------------- ATTO SECONDO Scena diciasettesima ---------------------------
DIDONE sola
DIDONE E pure in mezzo all'ire trova pace il mio cor. Iarba non temo, mi piace Enea sdegnato ed amo in lui, come effetti d'amor, gli sdegni sui. Chi sa? Pietosi numi, rammentatevi almeno che foste amanti un dì, come son io, ed abbia il vostro cor pietà del mio. Va lusingando amore il credulo mio core; gli dice: « Sei felice »; ma non sarà così. Per poco mi consolo; ma più crudele io sento poi ritornar quel duolo che sol per un momento dall'alma si partì.
--------------------------- ATTO TERZO Scena prima ---------------------------
Porto di mare con navi per l'imbarco d'Enea.
ENEA con seguito di troiani
ENEA Compagni invitti, a tollerare avvezzi e del cielo e del mar gl'insulti e l'ire, destate il vostro ardire, che per l'onda infedele è tempo già di rispiegar le vele. Quegl'istessi voi siete che intrepidi varcaste il mar sicano. Per voi sdegnato invano di Cariddi e di Scilla fra'vortici sonori tutti adunò Nettuno i suoi furori. Per sì strane vicende all'impero latino il ciel ne guida. Andiamo, amici, andiamo. Ai troiani navigli fremano pur venti e procelle intorno; saran glorie i perigli e dolce fia di rammentargli un giorno. (Al suono di vari stromenti siegue l'imbarco e nell'atto che Enea sta per salir sulla nave, esce Iarba)
--------------------------- ATTO TERZO Scena seconda ---------------------------
IARBA con seguito de'mori, detti
IARBA Dove rivolge, dove quest'eroe fuggitivo i legni e l'armi? Vuol portar guerra altrove o da me col fuggir cerca lo scampo?
ENEA Ecco un novello inciampo.
IARBA Fuggi, fuggi, se vuoi; ma non lagnarti poi se della fuga tua Iarba si ride.
ENEA Non irritar, superbo, la sofferenza mia.
IARBA Parmi però che sia viltà, non sofferenza, il tuo ritegno. Per un momento il legno può rimaner sul lido. Vieni, s'hai cor; meco a pugnar ti sfido.
ENEA Vengo. Restate, amici, (Alle sue genti) che ad abbassar quel temerario orgoglio altri che 'l mio valor meco non voglio. Eccomi a te; che pensi?
IARBA Penso che all'ira mia la tua morte sarà poca vendetta.
ENEA Per ora a contrastarmi non fai poco se pensi; all'armi.
IARBA All'armi. (Mentre si battono, Iarba va cedendo; i suoi mori vengono in aiuto di lui ed assalgono unitamente Enea)
ENEA Venga tutto il tuo regno. IARBA Difenditi, se puoi.
ENEA Non temo, indegno. (I compagni d'Enea in aiuto di lui scendono dalle navi ed attaccano i mori. Enea e Iarba combattendo entrano. Siegue zuffa fra i troiani e i mori. I mori fuggono e gli altri gli sieguono. Escono di nuovo combattendo Enea e Iarba) Già cadesti e sei vinto. O tu mi cedi o trafiggo quel core.
IARBA Invan lo chiedi.
ENEA Se al vincitor sdegnato non domandi pietà...
IARBA Siegui il tuo fato.
ENEA Sì, mori. Ma che fo? Vivi, non voglio nel tuo sangue infedele (Lascia Iarba, il quale sorge) quest'acciaro macchiar.
IARBA Sorte crudele!
ENEA Vivi, superbo, e regna; regna per gloria mia, vivi per tuo rossor. E la tua pena sia il rammentar che in dono ti diè la vita e il trono pietoso il vincitor. (Parte)
--------------------------- ATTO TERZO Scena terza ---------------------------
IARBA solo
IARBA Ed io son vinto ed io soffro una vita che d'un vile stranier due volte è dono? No, vendetta, vendetta; e se non posso nel sangue d'un rivale tutto estinguer lo sdegno, opprimerà la mia caduta un regno. Su la pendice alpina dura la quercia antica e la stagion nemica per lei fatal non è. Ma quando poi ruina di mille etadi a fronte, gran parte fa del monte precipitar con sé. (Parte)
--------------------------- ATTO TERZO Scena quarta ---------------------------
Arborata fra la città e 'l porto.
ARASPE ed OSMIDA
OSMIDA Già di Iarba in difesa lo stuol de'mori a queste mura è giunto.
ARASPE M'è noto.
OSMIDA Ad ogni impresa al vostro avrete il mio voler congiunto.
ARASPE Troppa follia sarebbe fidarsi a te.
OSMIDA Per qual cagione!
ARASPE Un core non può serbar mai fede, se una volta a tradir perdé l'orrore.
OSMIDA A ragione infedele con Didone son io. Così punisco l'ingiustizia di lei che mai non diede un premio alla mia fede.
ARASPE È arbitrio di chi regna, non è debito il premio; e quando ancora fosse dovuto a cento imprese e cento, non v'è torto che scusi un tradimento.
OSMIDA Chi nutrisce di questa rigorosa virtude i suoi pensieri la sua sorte ingrandir giammai non speri.
ARASPE Se produce rimorso, anche un regno è sventura. A te dovrebbe la gloria esser gradita di vassallo fedel più che la vita.
OSMIDA Questi dogmi severi serba, Araspe, per te. Prendersi tanta cura dell'opre altrui non è permesso. Non fa poco chi sol pensa a sé stesso.
--------------------------- ATTO TERZO Scena quinta ---------------------------
SELENE e detti
SELENE Partì da'nostri lidi Enea? Che fa? Dov'è?
OSMIDA Nol so.
ARASPE Nol vidi.
SELENE Oh dio! Che più ci resta, se lontano da noi la sorte il guida?
ARASPE È teco Araspe.
OSMIDA E ti difende Osmida.
SELENE Pria che manchi ogni speme, vado in traccia di lui. (In atto di partire)
OSMIDA Ferma, Selene. Se non gli sei ritegno, più pace avranno e la regina e 'l regno.
SELENE Intendo i detti tuoi. So perché lungi il vuoi.
ARASPE Con troppo affanno (A Selene) di arrestarlo tu brami. Perdona l'ardir mio, temo che l'ami.
SELENE Se a te della germana fosse noto il dolore, la mia pietà non chiameresti amore.
OSMIDA Tanta pietà per altri a che ti giova? (A Selene) Ad un cor generoso qualche volta è viltà l'esser pietoso.
SELENE Sensi d'alma crudel.
--------------------------- ATTO TERZO Scena sesta ---------------------------
IARBA con guardie e detti
IARBA Non son contento, se non trafiggo Enea.
SELENE (Numi, che sento!)
ARASPE Mio re, qual nuovo affanno t'ha così di furor l'anima accesa?
IARBA Pria saprai la vendetta e poi l'offesa.
SELENE (Che mai sarà?)
OSMIDA Signore, (Piano a Iarba) le tue schiere son pronte. È tempo alfine che vendichi i tuoi torti.
IARBA Araspe, andiamo.
ARASPE Io sieguo i passi tuoi.
OSMIDA Deh pensa allora che vendicato sei, che la mia fedeltà premiar tu dei.
IARBA È giusto; anzi preceda la tua mercede alla vendetta mia.
OSMIDA Generoso monarca...
IARBA Olà, costui si disarmi e s'uccida. (Alcune delle guardie di Iarba disarmano Osmida)
OSMIDA Come? Questo ad Osmida? Qual ingiusto furore...
IARBA Quest'è il premio dovuto a un traditore. (Parte)
OSMIDA Parla, amico, per me; fa'ch'io non resti così vilmente oppresso. (Ad Araspe)
ARASPE Non fa poco chi sol pensa a sé stesso. (Parte)
OSMIDA Pietà, pietà, Selene. Ah non lasciarmi in sì misero stato e vergognoso!
SELENE Qualche volta è viltà l'esser pietoso. (Partendo s'incontra in Enea)
--------------------------- ATTO TERZO Scena settima ---------------------------
ENEA con seguito e detti
ENEA Principessa, ove corri?
SELENE A te ne vengo.
ENEA Vuoi forse... Oh ciel, che miro! (Vedendo Osmida tra'mori)
OSMIDA Invitto eroe, vedi, all'ira di Iarba...
ENEA Intendo. Amici, in soccorso di lui l'armi volgete. (Alcuni troiani vanno incontro a'mori, i quali lasciando Osmida fuggono difendendosi)
SELENE Signor, togli un indegno a suo giusto castigo.
ENEA Lo punisca il rimorso.
OSMIDA Ah lascia, Enea, (S'inginocchia) che grato a sì gran dono...
ENEA Alzati e parti. Non odo i detti tuoi.
OSMIDA Ed a virtù sì rara...
ENEA Se grato esser mi vuoi, ad esser fido un'altra volta impara.
OSMIDA Quando l'onda, che nasce dal monte, al suo fonte ritorni dal prato, sarò ingrato a sì bella pietà. Fia del giorno la notte più chiara, se a scordarsi quest'anima impara di quel braccio che vita mi dà. (Parte)
--------------------------- ATTO TERZO Scena ottava ---------------------------
ENEA e SELENE
ENEA Addio, Selene.
SELENE Ascolta.
ENEA Se brami un'altra volta rammentarmi l'amor, t'adopri invano.
SELENE Ma che farà Didone?
ENEA Al partir mio manca ogni suo periglio. La mia presenza i suoi nemici irrita. Iarba al trono l'invita; stenda a Iarba la destra e si consoli.
SELENE Senti; se a noi t'involi, non sol Didone, ancor Selene uccidi.
ENEA Come?
SELENE Dal dì ch'io vidi il tuo sembiante, tacqui misera amante l'amor mio, la mia fede; ma vicina a morir chiedo mercede.
ENEA Selene, del tuo foco non mi parlar né degli affetti altrui. Non più amante qual fui, guerriero io sono; torno al costume antico, chi trattien le mie glorie è mio nemico. A trionfar mi chiama un bel desio d'onore; e già sopra il mio core comincio a trionfar. Con generosa brama fra i rischi e le ruine di nuovi allori il crine io volo a circondar. (Parte)
--------------------------- ATTO TERZO Scena nona ---------------------------
SELENE sola
SELENE Sprezzar la fiamma mia, togliere alla mia fede ogni speranza esser vanto potria di tua costanza. Ma se poi non consenti che scopra i suoi tormenti il core amante, sei barbaro con me, non sei costante. Nel duol che prova l'alma smarrita, non trova aita, speme non ha. E pur l'affanno che mi tormenta anche a un tiranno faria pietà. (Parte)
--------------------------- ATTO TERZO Scena decima ---------------------------
Reggia con veduta della città di Cartagine in prospetto che poi s'incendia.
DIDONE e poi OSMIDA
DIDONE Va crescendo il mio tormento; io lo sento e non l'intendo. Giusti dei, che mai sarà!
OSMIDA Deh, regina, pietà.
DIDONE Che rechi, amico?
OSMIDA Ah no, così bel nome non merta un traditore d'Enea, di te nemico e del tuo amore.
DIDONE Come?
OSMIDA Con la speranza di posseder Cartago Iarba mi fece suo; poi con la morte i tradimenti miei punir volea; ma dono è il viver mio del grand'Enea.
DIDONE Reo di tanto delitto, hai fronte ancora di presentarti a me?
OSMIDA Sì, mia regina. (S'inginocchia) Tu vedi un infelice che non spera il perdono e nol desia. Chiedo a te per pietà la pena mia.
DIDONE Sorgi; quante sventure! Misera me, sotto qual astro io nacqui! Manca ne'miei più fidi...
--------------------------- ATTO TERZO Scena undicesima ---------------------------
SELENE e detti
SELENE Oh dio, germana! Alfine Enea...
DIDONE Partì?
SELENE No; ma fra poco le vele scioglierà da'nostri lidi. Or ora io stessa il vidi verso i legni fugaci sollecito condurre i suoi seguaci.
DIDONE Che infedeltà! Che sconoscenza! Oh dei! Un esule infelice, un mendico stranier... Ditemi voi se più barbaro cor vedeste mai? E tu cruda Selene, partir lo vedi ed arrestar nol sai?
SELENE Fu vana ogni mia cura.
DIDONE Vanne, Osmida, e proccura che resti Enea per un momento solo. M'ascolti e parta.
OSMIDA Ad ubbidirti io volo. (Parte)
--------------------------- ATTO TERZO Scena dodicesima ---------------------------
DIDONE e SELENE
SELENE Ah non fidarti; Osmida tu non conosci ancor.
DIDONE Lo so purtroppo. A questo eccesso è giunta la mia sorte tiranna; deggio chiedere aita a chi m'inganna.
SELENE Non hai fuor che in te stessa altra speranza. Vanne a lui, prega e piangi. Chi sa? Forse potrai vincer quel core.
DIDONE Alle preghiere, ai pianti Dido scender dovrà? Dido che seppe dalle sidonie rive correr dell'onde a cimentar lo sdegno altro clima cercando ed altro regno? Son io, son quella ancora che di nuove cittadi Africa ornai, che 'l mio fasto serbai fra l'insidie, fra l'armi e fra i perigli. Ed a tanta viltà tu mi consigli.
SELENE O scordati il tuo grado o abbandona ogni speme; amore e maestà non vanno insieme.
--------------------------- ATTO TERZO Scena tredicesima ---------------------------
ARASPE e detti
DIDONE Araspe in queste soglie!
ARASPE A te ne vengo (Si cominciano a veder fiamme in lontananza sugli edifizi di Cartagine) pietoso del tuo rischio. Il re sdegnato di Cartagine i tetti arde e ruina. Vedi, vedi, o regina, le fiamme che lontane agita il vento. Se tardi un sol momento a placare il suo sdegno, un sol giorno ti toglie e vita e regno.
DIDONE Restano più disastri per rendermi infelice?
SELENE Infausto giorno!
--------------------------- ATTO TERZO Scena quattordicesima ---------------------------
OSMIDA e detti
DIDONE Osmida.
OSMIDA Arde d'intorno...
DIDONE Lo so, d'Enea ti chiedo. Che ottenesti da Enea?
OSMIDA Partì l'ingrato. Già lontano è dal porto; io giunsi appena a ravvisar le fuggitive antenne.
DIDONE Ah stolta! Io stessa, io sono complice di sua fuga. Al primo istante arrestar lo dovea. Ritorna, Osmida, corri, vola sul lido, aduna insieme armi, navi, guerrieri; raggiungi l'infedele, lacera i lini suoi, sommergi i legni, portami fra catene quel traditore avvinto; e se vivo non puoi, portalo estinto.
OSMIDA Tu pensi a vendicarti e cresce intanto la sollecita fiamma.
DIDONE È ver, corriamo. Io voglio... Ah no... restate... Ma la vostra dimora... Io mi confondo... E non partisti ancora?
OSMIDA Eseguisco i tuoi cenni. (Parte)
--------------------------- ATTO TERZO Scena quindicesima ---------------------------
DIDONE, SELENE ed ARASPE
ARASPE Al tuo periglio pensa, o Didone.
SELENE E pensa a ripararne il danno.
DIDONE Non fo poco s'io vivo in tanto affanno. Va'tu, cara Selene, provvedi, ordina, assisti in vece mia. Non lasciarmi, se m'ami, in abbandono.
SELENE Ah che di te più sconsolata io sono! (Parte)
--------------------------- ATTO TERZO Scena sedicesima ---------------------------
DIDONE ed ARASPE
ARASPE E tu qui resti ancor? Né ti spaventa l'incendio che s'avanza?
DIDONE Ho perso ogni speranza, non conosco timor. Ne'petti umani il timore e la speme nascono in compagnia, muoiono insieme.
ARASPE Il tuo scampo desio. Vederti esposta a tal rischio mi spiace.
DIDONE Araspe, per pietà lasciami in pace.
ARASPE Già si desta la tempesta, hai nemici i venti e l'onde; io ti chiamo su le sponde; e tu resti in mezzo al mar. Ma se vinta alfin tu sei dal furor delle procelle, non lagnarti delle stelle, degli dei non ti lagnar. (Parte)
--------------------------- ATTO TERZO Scena diciasettesima ---------------------------
DIDONE e poi OSMIDA
DIDONE I miei casi infelici favolose memorie un dì saranno; e forse diverranno soggetti miserabili e dolenti alle tragiche scene i miei tormenti.
OSMIDA È perduta ogni speme.
DIDONE Così presto ritorni?
OSMIDA Invano, oh dio! tentai passar dal tuo soggiorno al lido. Tutta del moro infido il minaccioso stuol Cartago inonda. Fra le strida e i tumulti agl'insulti degli empi son le vergini esposte, aperti i tempi; né più desta pietade o l'immatura o la cadente etade.
DIDONE Dunque alla mia ruina più riparo non v'è? (Si comincia a vedere il fuoco nella reggia)
--------------------------- ATTO TERZO Scena diciottesima ---------------------------
SELENE e detti
SELENE Fuggi, o regina. Son vinti i tuoi custodi; non ci resta difesa. Dalla cittade accesa passan le fiamme alla tua reggia in seno e di fumo e faville è il ciel ripieno.
DIDONE Andiam; si cerchi altrove per noi qualche soccorso.
OSMIDA E come?
SELENE E dove?
DIDONE Venite, anime imbelli; se vi manca valore, imparate da me come si muore.
--------------------------- ATTO TERZO Scena dicianovesima ---------------------------
IARBA con guardie e detti
IARBA Fermati.
DIDONE (Oh dei!)
IARBA Dove così smarrita? Forse al fedel troiano corri a stringer la mano? Va'pure, affretta il piede, che al talamo reale ardon le tede.
DIDONE Lo so, questo è il momento delle vendette tue; sfoga il tuo sdegno, or ch'ogni altro sostegno il ciel mi fura.
IARBA Già ti difende Enea, tu sei sicura.
DIDONE Alfin sarai contento. Mi volesti infelice; eccomi sola, tradita, abbandonata, senz'Enea, senz'amici e senza regno. Timida mi volesti; ecco Didone già sì fastosa e fiera, a Iarba accanto alfin discesa alla viltà del pianto. Vuoi di più? Via, crudel, passami il core; è rimedio la morte al mio dolore.
IARBA (Cedono i sdegni miei).
SELENE (Giusti numi, pietà).
OSMIDA (Soccorso, o dei).
IARBA E pur, Didone, e pure sì barbaro non son qual tu mi credi. Del tuo pianto ho pietà. Meco ne vieni; l'offese io ti perdono e mia sposa ti guido al letto e al trono.
DIDONE Io sposa d'un tiranno, d'un empio, d'un crudel, d'un traditore che non sa che sia fede, non conosce dover, non cura onore? S'io fossi così vile, saria giusto il mio pianto. No, la disgrazia mia non giunse a tanto.
IARBA In sì misero stato insulti ancora? Olà, miei fidi, andate, s'accrescano le fiamme. In un momento si distrugga Cartago e non vi resti orma d'abitator che la calpesti. (Partono due comparse)
SELENE Pietà del nostro affanno.
IARBA Or potrai con ragion dirmi tiranno. (A Didone) Cadrà fra poco in cenere il tuo nascente impero e ignota al passeggiero Cartagine sarà. Se a te del mio perdono meno è la morte acerba, non meriti, superba, soccorso né pietà. (Parte)
--------------------------- ATTO TERZO Scena ventesima ---------------------------
DIDONE, SELENE ed OSMIDA
OSMIDA Cedi a Iarba, o Didone.
SELENE Conserva colla tua la nostra vita.
DIDONE Solo per vendicarmi del traditore Enea, ch'è la prima cagion de'mali miei, l'aure vitali io respirar vorrei. Ah faccia il vento almeno, facciano almen gli dei le mie vendette. E folgori e saette e turbini e tempeste rendano l'aure e l'onde a lui funeste. Vada ramingo e solo e la sua sorte così barbara sia che si riduca ad invidiar la mia.
SELENE Deh modera il tuo sdegno; anch'io l'adoro e soffro il mio tormento.
DIDONE Adori Enea?
SELENE Sì, ma per tua cagione...
DIDONE Ah disleale, tu rivale al mio amor?
SELENE Se fui rivale, ragion non hai...
DIDONE Dagli occhi miei t'invola; non accrescer più pena ad un cor disperato.
SELENE (Misera donna, ove la guida il fato!) (Parte)
OSMIDA Crescon le fiamme e tu fuggir non curi?
DIDONE Mancano più nemici? Enea mi lascia, trovo Selene infida, Iarba m'insulta e mi tradisce Osmida. Ma che feci, empi numi? Io non macchiai di vittime profane i vostri altari; né mai di fiamma impura feci l'are fumar per vostro scherno. Dunque perché congiura tutto il ciel contro me, tutto l'inferno?
OSMIDA Ah pensa a te, non irritar gli dei.
DIDONE Che dei? Son nomi vani, son chimere sognate o ingiusti sono.
OSMIDA (Gelo a tanta empietade e l'abbandono). (Parte. Cadono alcune fabbriche e si vedono crescer le fiamme nella reggia)
--------------------------- ATTO TERZO Scena ventiduesima ---------------------------
DIDONE sola
DIDONE Ah che dissi, infelice? A qual eccesso mi trasse il mio furore? Oh dio! Cresce l'orrore; ovunque io miro, mi vien la morte e lo spavento in faccia; trema la reggia e di cader minaccia. Selene, Osmida, ah tutti, tutti cedeste alla mia sorte infida. Non v'è chi mi soccorra o chi m'uccida. Vado... Ma dove?... Oh dio! Resto... Ma poi, che fo! Dunque morir dovrò senza trovar pietà? E v'è tanta viltà nel petto mio? No no; si mora e l'infedele Enea abbia nel mio destino un augurio funesto al suo cammino. Precipiti Cartago, arda la reggia e sia il cenere di lei la tomba mia. (Si getta nelle fiamme)
|
|
|